Caro amico immaginario,
non posso certo farti conoscere Franco solo raccontandotelo. Anche tu dovresti pagare il prezzo del dolore per poterlo conoscere. Perché è il dolore che ci ricorda che siamo quelli al di qua della linea, quelli vivi.
Ma posso condividere un po’ del mio dolore con te, perché Franco è morto.
Franco era il colonnello Douglas Mortimer in Per qualche dollaro in più, con scambi di parole brevi e incisivi. Mia nonna lo chiamava Il senza Dio, ma nessuno più di lui poteva far sentire la sua preghiera anche con una bestemmia. Forse proprio questo paradosso vivente mi ha avvicinato a lui.
Franco aveva fatto un mondo migliore, aveva vinto. Dio gli aveva mandato il merlo bianco nel ’91, una rarità che gli confermava quanto fosse importante quello che stava facendo. E non l’amore, ma le persone lo hanno fatto soffrire. Di un dolore spietato. Quel dolore lo ha incassato, somatizzato, elaborato. Lo ha in ultima reso forte e sicuro, a tratti enigmatico.
Ha ritrovato quel suo stato di sofferenza nella musica, nel teatro, nel cinema, nella natura, nella fede. Non incontrerò mai nessuno che sappia mescere tutto questo in un’unica cosa.
Il Venerdì sera andavo a vedere i film da lui. I lunghi colossal, i western, i film di guerra, le storie d’amore. E si facevano pause per fumare e bere il goccetto. E in quelle pause ci brillavano gli occhi mentre parlavamo tanto da sentirci in comunione. Ora gli occhi brillano a me, ma non so altro.
Franco era un oltre-uomo. Sapeva andare oltre molte cose. Si sentiva solo nella sua generazione di calcio, mangiate e bevute. Mi ha fatto apprezzare il mio bisogno di solitudine. La libertà è solitudine. E comunque si muore soli.
Non voglio pensare all’ora, non voglio piangere ancora. Ma manca già l’idea di potermi rifugiare da te, potermi riposare nella tua oasi. Era una consolazione sapere che c’era quel posto pronto ad accogliermi, che tu eri lì che segavi l’erba, o in officina che saldavi l’acciaio, o che guardavi il meteo prima del caffè in quella moka orribilmente incrostata. “Biscottino?”.